Internet e la pubblicita’

Internet e la pubblicità, francamente, non si sono mai amati. In quest’articolo cercheremo di ricostruire, passo dopo passo, i perché di questa mancata storia d’amore.
Premessa: Televisione e radio hanno, rispetto ad internet, enormi vantaggi nel presentare la propria offerta pubblicitaria.

Caratterizzati da un palinsesto, propongono in sequenza programmi “a tutto schermo” (o a tutto audience), possono interrompere, proporre annunci pubblicitari, anche in sequenza, anche per molti minuti consecutivi.

Lo spettatore “tradizionale” non ha alternative se vuole completare la visione o l’ascolto, deve aspettare, pazientemente, il termine degli spot pubblicitari.

Antropologicamente lo spettatore televisivo e radiofonico è molto paziente, è disposto a sacrificare una parte del proprio tempo, ed anche la continuità di fruizione, pur di vivere la sua esperienza sino in fondo. Anno dopo anno, spot dopo spot, interruzione dopo interruzione, il palinsesto ha dilatato i tempi di attesa e allenato la pazienza del pubblico, che accetta di rivivere lo stesso spot migliaia di volte. Una sorta di narcolessia emozionale, da cui non riesce o non vuole svegliarsi.
I cyberutenti o internauti hanno tutt’altre caratteristiche, sono estremamente compulsivi. Abituati a navigare, sfogliare velocemente notizie, informazioni, immagini, video. Partecipano, commentano, condividono, postano, twittano, whatsappano, dileggiano. Cercano l’ultima news, il trend più recente, colgono l’attimo, acquistano. Un comportamento tutt’altro che passivo e paziente. Non a caso uno dei principali parametri di monitoraggio di un sito web o di un blog è il Bounce Rate (in italiano tasso di rimbalzo), ovvero la percentuale di utenti che abbandonano frettolosamente il sito, che “rimbalzano fuori”.

Troppa pubblicità?
Sono in tv allora aspetto pazientemente anche sette minuti,
sono in internet allora ti abbandono in tre secondi.

A voler essere precisi sta crescendo anche il fronte degli spettatori ibridi, affezionati al video e alla rete. Si tratta di una tipologia di utenti spesso più evoluta, che usa la radio in podcast, la tv  in modalità on demand, e che di rado segue passivamente la tv generalista. Un tipo di pubblico che seleziona con cura cosa ascoltare o vedere e quando farlo, con sufficienti competenze per “limitare e aggirare” gli spot pubblicitari.
Anno dopo anno le pagine web si “allungano”, offrono contenuti a dismisura, centinaia di alternative selezionabili tramite un solo click, aggiornate istantaneamente, caratterizzate da testi molto brevi e immagini, estremamente “digeribili“, semplici al limite del banale.
In internet la stessa notizia viene proposta in migliaia di siti diversi, dibattuta sui social, … , tutti luoghi (virtuali) immediatamente raggiungibili.
L’internauta, sempre più veloce, trova, in rete, innumerevoli vie d’uscita da ogni spot pubblicitario, nella pagina che stiamo visualizzando oppure altrove.

Troppa pubblicità in questo sito web? Allora cerco la stessa informazione da qualche altra parte. Mi basta digitare il nome dei protagonisti o l’argomento su Google.

Illimitate alternative, pubblico esigente e compulsivo, nessuna sequenza di navigazione predeterminata, nessun palinsesto. Internet è l’inferno dei pubblicitari? Assolutamente no, internet è la nuova frontiera, dalle enormi ricchezze, tutta da esplorare le cui regole di fruizione sono in continua evoluzione, un territorio difficile ma dalle grandissime potenzialità.
Lo Studio, fonte Statista, denominato “Global internet advertising revenue in 2015 and 2020”, conferma queste potenzialità, si passa da 153.65 miliardi di dollari americani nel 2015 a 260.36 miliardi di dollari nel 2020, con un incremento stimato del 69,45%, medio annuo del 13,89%.

I leader di settore, non a caso, visti i capitali e le numerose variabili in gioco, hanno deciso di applicare strategie contrapposte.

Google ha abbandonato le sponsorizzazioni nella colonna destra, quella per intenderci che affianca la lista risultati. Scegliendo di arricchire la proposta commerciale nella lista risultati, con ben quattro annunci iniziali e, spesso, uno a fine lista. Una vera e propria contaminazione dei risultati, in pieno stile “televisivo”. In questo modo l’utente fa veramente fatica a capire cosa è frutto della sua ricerca e cosa è proposto da Google.  Google è Google, probabilmente l’unico protagonista della rete che può forzare le regole a suo piacere, disseminando ovunque annunci promozionali.
Molti social network hanno preso la direzione opposta concentrando proprio nelle colonne laterali i messaggi promozionali.  Si vuole puntare sulla ricettività del cyberutente, sulla sua capacità multitasking di leggere “al centro” e, allo stesso tempo, di fare attenzione anche ai suggerimenti laterali.

In entrambi i casi il vero valore aggiunto è nel fatto che “Internet ci osserva”, tiene traccia dei nostri click, dei nostri comportamenti (nel breve periodo) e confeziona una proposta vicina ai nostri interessi. Un esempio: se nei giorni precedenti siete andati su Amazon e avete cercato uno smartphone (oppure una padella se non vi piace la tecnologia), durante la vostra prossima chiacchierata Skype probabilmente troverete, sulla vostra destra, un set di cellulari in offerta (o di padelle).
La proposta, non più generica, diventa suggerimento personale, trasformandosi da “invasiva” a “propositiva”. L’utente, con un solo click, può approfondire le caratteristiche della padella (o dello smartphone) ed acquistare immediatamente.

La pubbilicità moderna, in rete, deve essere immediata, personale, vantaggiosa, stimolante, buy-on-click.

siti web tradizionali sono la categoria ad oggi in maggiore difficoltà. L’epoca d’oro in cui i web site potevano proporre fastidiose finestre pubblicitarie, centrali e dominanti, sta terminando. Lo strumento che limita gli spot si chiama “adblock“, si tratta di un software aggiuntivo (add-on) gratuito, facilmente installabile sul proprio browser, che protegge il proprio schermo da messaggi e video indesiderati, non permettendone l’apertura.
Anche in questo caso è Statista la fonte che ci fornisce numeri su cui riflettere,  la ricerca è  “Share of audiences blocking ads online in the United States, United Kingdom (UK), France and Germany in 2015. Il 27% degli utenti tedeschi utilizza questi “immobilizzatori”, il 24%  dei francesi fa altrettanto, una percentuale molto significativa. Meno consapevoli gli inglesi (10%) e gli statunitensi (9%).
PageFair, inThe 2015 Ad Blocking Report“, è ancora più categorico, evidenzia come questi strumenti hanno determinato mancati introiti pubblicitari, nel 2015, per 22 miliardi di dollari, con un incremento annuo del +41% nell’utilizzo degli adblocker. In Europa sono gli utenti Polacchi, con il 34,9% degli utilizzatori di internet e, sorprendentemente i Greci, con il 36,7% ad aggirare con maggiore impegno gli annunci pubblicitari. Probabilmente fattori come età e disponibilità economica contribuiscono a creare queste dinamiche di difesa dagli annunci.

A prescindere dalle lievi discrepanze numeriche tra uno studio e l’altro è evidente che l’utilizzo degli adblock è in forte crescita, un numero sempre maggiore di cyberutenti, tramite il passaparola o articoli come questo, impara a ridurre l’impatto dei messaggi pubblicitari sul proprio video.

Non avete ancora attivato un adblock sul vostro browser? Cosa state aspettando?

I tempi ed i modi “di Carosello” non sono applicabili alla rete, internet non accetta cantilene pubblicitarie. La nuova generazione di pubblicitari, in internet, deve seguire l’internauta passo passo, deve essere supportata da software che analizzano il comportamento utente, i web-trend della rete, deve saper confezionare proposte smart, instantanee, integrate nei contenuti che l’utente sta leggendo, vicine agli interessi e ai desideri personali o alle tendenze locali o globali del momento.  Tutte proposte, ovviamente, acquistabili con un solo click.

Internet sta trasformando, repentinamente e definitivamente, anche il modo di fare pubblicità.

Mondoduepuntozero

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