I mattoncini Lego e le web community 2.0

Spesso situazioni reali e situazioni virtuali finiscono  per influenzarsi reciprocamente. Ciascuno dei due universi, reale e virtuale, innesca comportamenti, contromisure, atteggiamenti a partire  dagli stimoli provenienti dall’ “altro spazio”, sia esso reale o cyber.

Il caso che vi sto per presentare è senz’altro uno di questi, ma prima di entrare in dettaglio è necessaria una breve enciclopedica  premessa.

La definizione di comunità offerta dal dizionario garzanti è un  po’ arcaica ma molto chiara:” l’insieme delle persone che vivono  sullo stesso territorio o che hanno origini, tradizioni, idee, interessi comuni“.

La comunità rappresenta uno dei principali elementi di sviluppo nella storia dell’uomo,  l’appartenenza ad un gruppo ha permesso sia  la salvaguardia della nostra specie sia l’evoluzione della stessa.

La condivisione di percezioni, intuizioni, strumenti ci ha permesso di migliorare, di creare nuovi e più complessi modelli sociali, stili di vita.

Il confronto ha dato energia alle nostre idee, ci siamo spiegati, offesi e difesi reciprocamente, abbiamo progettato e migliorato il nostro habitat, raffinato i nostri strumenti e le nostre vite.

Apparteniamo ad una comunità, abbiamo idee, interessi, tradizioni comuni, ed è proprio questa vicinanza fisica, di pensiero, di linguaggio, che ci unisce e , conseguentemente, ci migliora.

La comunità virtuale, “prodotta” in rete, ha analoghe caratteristiche,  miscela interessi, opinioni, persone ed azioni. Coloro che appartengono ad una comunità sentono di avere “qualcosa” in comune.

Sappiamo di ripeterci ma dobbiamo ricordare ai nostri lettori come la rete, in quanto sistema aperto, permette ad un ognuno di noi  in modo facile, privo di infrastrutture, di fare parte di un network di persone, quindi di condividere in modo immediato pensieri ed azioni con gli altri cybernauti, conosciuti o sconosciuti nel mondo reale.

La comunità virtuale è, dal punto di vista sociologico e relazionale, comparabile con una comunità reale, sostituisce l’intensità del contatto fisico con l’immediatezza della chat o del video, l’empatia di uno sguardo con l’infinita trama relazionale disponibile in rete.

Andiamo al dunque, al nostro esempio. Chi di noi non ha mai giocato con i mattoncini  LEGO?

Negli anni settanta, anni privi di videogiochi e della televisione commerciale (e a colori), i mattoncini lego erano un esplosione di colore, un muro da scalare con la fantasia, erano il  “gioco”.

Un gioco solo in apparenza semplice, dove manualità e fantasia permettono al bambino di progettare, creare, sperimentare.

Negli anni ’80 e ’90, la LEGO ha subito  la forte concorrenza dei  giochi interattivi, ad alto “contenuto tecnologico“, un perdita progressiva di mercato che ha messo l’azienda in grande difficoltà.

Ad inizio del ventunesimo secolo la LEGO, raggiunto probabilmente l’apice della crisi, ha provato a raggiungere i giovanissimi con una nuova gamma di prodotto, i lego mindstorm .

L’idea su cui si basa la nuova gamma è ottima, offrire un kit per la costruzione di un robot, un mix di mattoncini e tecnologia.

L’obiettivo è, suppongo, attrarre i più giovani, i pre adolescenti, con un target progettuale complesso e ad alto livello tecnologico, in grado di competere con i giochi elettronici.

Viviamo in un mondo in continua evoluzione e può succedere come in questo caso, che un’idea, una linea di prodotti, si dimostri sin da subito qualcosa di molto diverso da quanto ipotizzato e progettato, dal “buon prodotto” per giovanissimi pensato dai manager della LEGO.

Un diverso target di utenti, talvolta anche meno giovane, ha adottato questi kit, ha iniziato a miscelare i componenti, a creare nuove forme inedite, nuovi robot.

Si è venuta a creare, spontaneamente, in rete, una comunità di progettisti mindstorm, capaci  di sovvertire il progetto iniziale, di creare qualcosa di nuovo, di condividerlo, di modificarlo e modificarlo ancora.

Da quanto raccontato in rete, informazione tutta da verificare,  il vertice aziendale LEGO ha appreso con stupore il cambiamento.  Fonti inattendibili (chissà se vere) descrivono manager in difficoltà che ipotizzano eventuali azioni verso apprendisti inventori che stano stravolgendo la natura del prodotto.

Poi, o forse immediatamente, chi può dirlo, è avvenuta la svolta, la LEGO ha aperto alla comunità dei progettisti mindstorm, ha creato uno spazio tutto per loro, funzionalità come “Upload your robot” che danno la possibilità di raccontare la propria soluzione innovativa, unica.

Oggi un “mindstormer” può raccontare la sua creazione, spiegare come  smontare, riprogrammare, stravolgere, realizzare un nuovo robot. Una comunità basata sulla fantasia e sull’originalità.

Alla comunità LEGO si sono aggiunti, in breve tempo,  raduni organizzati dalla stessa azienda, le collaborazioni tra LEGO ed alcuni dei protagonisti della comunità, la realizzazione di una nuova generazione di strumenti software  per progettare con i LEGO, nuovi spazio tematici social dedicati alla progettazione.

Oggi la LEGO è un azienda che è riuscita a fidelizzare nuovi utenti, come si dice in gergo si è “riposizionata“, è riuscita a creare nuovi spazi, nuove opportunità, ascoltando la voce dei propri consumatori, permettendo a loro di esprimere la loro creatività e di condividerla.

Siamo di fronte ad una storia 2.0 , la rete ha svolto il suo ruolo di strumento di comunicazione,  di network sociale, l’assenza di vincoli ha permesso la nascita spontanea di una web community in grado di condividere un sincero interesse, di stravolgere, rinnovare, amplificare una proposta commerciale.

Il mondo reale, come spesso succede, non ha saputo anticipare questa necessità, ma è riuscito ad osservare con attenzione quanto stava accadendo e, progressivamente, a diventarne parte attiva.

Oggi la  LEGO è  il propulsore di questa comunità di progettisti underground.

Mattone dopo mattone stiamo costruendo un mondo sempre più 2.0.

Monduepuntozero


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