Immersive learning: la didattica digitale

Sette anni fa ho pubblicato su Mondoduepuntozero, un articolo dal titolo “Hopping: leggere saltellando” in cui evidenziavo nuove dinamiche di lettura, non sequenziali, conseguenti all’utilizzo massivo della Rete e alla necessità, personale o professionale, per molti di noi, di agire in modalità multi-tasking.

Oggi, dopo un periodo che nella scala dei tempi di Internet è un era geologica, il surplus informativo che ogni giorno ci raggiunge è evidente, conseguentemente ciascuno di noi ha sviluppato, in autonomia, personali strategie per aggirare pop-up, video, informative privacy, post e gruppi social non graditi.

Strategie che sono oramai parte integrante nel nostro modo di selezionare e leggere e che, probabilmente, hanno avuto importanti effetti anche sul nostro modo di pensare.

Queste strategie hanno effetti collaterali, determinano in tutti noi, non solo nei più giovani, una minore capacità nell’attenzionare e apprendere un testo nella sua interezza, di cogliere appieno la relazione tra le informazioni (cosa che in Internet, grazie agli ipertesti e gli hashtag, doveva essere un punto di forza), di memorizzare nel lungo periodo questi concetti, di leggere un intero libro cartaceo.

Intendiamoci non sono qui per demonizzare internet: la diffusione delle meeting platform, la presenza in rete di gruppi, spesso transnazionali, la condivisione tramite hashtag, le banche dati open access, le lavagne interattive, … esempi che dimostrano in modo tangibile il contributo digitale nel ridurre le distanze e diffondere conoscenza.

Ma, c’è sempre un ma, è altresì evidente come ad oggi l’apprendimento in rete, la didattica digitale, non è riuscito a raggiungere piena maturazione, sia in termini d’uso sia di strumenti.

Possono gli strumenti digitali, hardware e software, incentivare, favorire l’apprendimento, la didattica, l’acquisizione di nozioni anche nel lungo periodo?

Ho trovato una risposta nel testo “Futuri possibili” di Lorenzo Capannari in cui sono descritti i benefici dell’immersive learning, testo che mi ha aperto gli occhi sulle infinite possibilità insite nella didattica digitale innovativa, non tradizionale.

Migliorare la proposta didattica? due possibili direzioni da percorrere:

  • Un ritorno allo Slow reading: Valorizzare il ruolo dei tradizionali “testi cartacei”, i nostri cari e vecchi libri, con esercizi finalizzati a mantenere attenzione, focus sul testo, realizzazione di note a fianco del testo, per una lettura sequenziale ed esaustiva.
  • L’utilizzo di strumenti e spazi digitali in grado di descrivere concetti e contenuti in un contesto immersivo, oggi tramite visore, domani molto probabilmente tramite dei leggerissimi occhiali VR/AR.

Detto fra noi, dopo avere approfondito l’argomento, punto decisamente “sul rosso”, ovvero sulla possibilità di apprendere tramite questa nuova generazione di strumenti. Questo sia per il livello di coinvolgimento che questi ambienti immersivi possono garantire, sia per quanto emerso dalle mie osservazioni delle dinamiche di hopping e coinvolgimento digitale, modalità d’uso sempre più rapide, interattive, esigenti e impazienti, di rado compatibili con una ponderata e paziente lettura di un libro cartaceo.

A sostegno dell’immersive learning troviamo:

  • La possibilità di apprendere in un contesto digitale immersivo. Per gli utenti con una cultura digitale, target in forte crescita, un esperienza totalitaria può essere interessante e coinvolgente: è molto difficile distrarsi, è molto difficile andare altrove.
  • L’utente può scegliere cosa approfondire e dove andare, in genere le simulazioni immersive, anche a fini didattici, sono di tipo “non lineare” permettono all’utente di seguire un percorso personale, di interagire, scegliere.
  • Viceversa, i docenti possono creare ambienti, modellarli, evolverli in base alle necessità ed agli effettivi comportamenti degli utenti, anche durante il percorso di studi, persino durante l’effettivo utilizzo “real time”.
  • Spesso la didattica in ambito immersivo permette simulazioni e sperimentazioni, anche di attività non possibili o “a rischio” nel mondo reale. È possibile replicare l’approfondimento in caso di errori senza particolari conseguenze.

Vi segnalo un paradosso, vi sto proponendo di usare strumenti immersivi, ad alto livello di interazione, e allo stesso tempo affermo che questi si basano sull’antico principio del “sbagliando si impara”, non tutto quel che è nuovo è completamente nuovo.

  • Evidenzio inoltre la fortissima complicità, tecnologica, visiva e d’uso, tra questa nuova generazione di strumenti didattici immersivi ed i videogiochi. Non c’è migliore modo di coinvolgere uno studente se non tramite un habitat digitale, 3D, a lui familiare. Habitat in cui, ulteriore paradosso, le nuove generazione hanno meno pregiudizi d’uso rispetto a quanto di consueto proposto dai docenti nel mondo reale.
  • Uno spazio immersivo può proporre contenuti multimateriali: testi, immagini, audio e video. Un mix che se realizzato da docenti esperti e/o da esperti di comunicazione può determinare un importante valore aggiunto sia in termini percettivi sia per memorizzare nel lungo periodo i concetti e le esperienze effettuate.

Entro alcuni anni, forse un lustro, l’”immersive learning” diventerà parte integrante del percorso didattico di ogni studente. Questo importante cambiamento a dire il vero non è proprio dietro l’angolo, per i seguenti motivi:

  • l’evoluzione tecnologica dei visori ha importanti “pro” nei migliorare l’esperienza d’uso e nei progressivi ridotti costi di acquisto dell’hardware ma, allo stesso tempo, rende obsoleti i dispositivi acquistati: siamo in una fase di costante evoluzione, di re-factoring.
  • I visori ad oggi disponibili impegnano il nostro spazio visivo, chiedono la nostra completa fiducia, disponibilità a neutralizzare la nostra percezione del mondo reale (completamente o parzialmente), ciò non è sempre possibile, non lo è soprattutto per coloro che non sono nativi digitali.
  • Non c’è, ad oggi, una generazione di docenti digitali, in grado di ideare e configurare al meglio gli spazi digitali. E’ necessario maturare questo tipo di professionalità.
  • È spesso necessario affiancare gli utilizzatori e garantire la corretta gestione e manutenzione dell’hardware, questi costi di affiancamento sono difficili da gestire da parte delle istituzioni pubbliche.

Per questi motivi gli “early adopter” sono spesso aziende private o atenei che effettuano ricerca e sperimentazione, per questi stessi motivi la diffusione di strumenti e strategie di immersive learning non è ancora avvenuta in modo capillare.

La mia personale esperienza digitale, di curatela digitale, realizzazione di spazi virtuali per istituzioni culturali, mi permette di percepire appieno la difficoltà nell’astrarre, anticipare e posizionare oggetti, concetti, immagini, audio e video.

La soluzione? Probabilmente saranno gli strumenti di A.I. ad aiutarci nella progettazione di hardware, esperienze, lezioni, simulatori in ambienti immersivi. L’innovazione aiuterà l’innovazione.

A.I. ed immersive learning
c’è veramente molto che bolle in pentola

Mondoduepuntozero

Volete saperne di più? Vi invito a leggere il capitolo” Entropia nel Web: Rumore, rumore, rumore” nel mio libro di recente pubblicazione “Ovunque Internet” testo che, per ora, volutamente, è disponibile solo in formato cartaceo perché, sempre detto fra noi, punto sul digitale ma credo ancora, profondamente, nella lettura tradizionale.