WhatsApp strumento tribale

Un insieme di servizi, in continua evoluzione, che determinano comportamenti, emozioni, complessi flussi di comunicazione. Questa è Internet. La Rete.
I servizi di messaggeria istantanea, la chat, sono all’apice di questo processo. La punta di questo iceberg.
Lo dimostra anche la ricerca effettuata dalla Nottingham Trent University.

Ricerca recentemente realizzata su un campione particolarmente significativo di messaggi istantanei, oltre cinquecentomila.  Da questa ricerca emergono interessanti spunti.

  • “The presence of ‘emojis’ in messages also influenced the sentimental value”.

Pur consapevoli della metamorfosi che il nostro linguaggio subisce in rete questa affermazione ci sorprende. La presenza degli emojis, elementi appariscenti, visuali, produce  empatia, rafforza il legame emotivo con l’interlocutore e con il messaggio.
Il percorso di semplificazione lessicale, di disintegrazione della struttura grammaticale ha il suo apice in questi piccoli simboli. Faccette colorate che sostengono, sostituiscono e velocizzano la conversazione.
Non si tratta di elementi a corredo della conversazione bensì di elementi cardine.
Utilizzati e apprezzati da tutti, o quasi.

  • “…they found that 32% resulted in negative emotions, with users reporting feeling hostile, upset, nervous, afraid or ashamed.”

Questo sovraccarico di informazioni che, tramite le chat, ci coinvolge ogni giorno, non è sempre positivo. La gestione contemporanea di numerosi gruppi, la necessità di leggere decine di brevi comunicati, sequenzialmente, può creare frustrazione. I contenuti stessi possono essere oggetto di litigio, dibattito, contestazione.
Riceviamo decine di messaggi, altri che parlano con altri, altri che parlano di noi. Tutti hanno sempre qualcosa da dire, ad ogni ora del giorno.

  • “These digital alerts continuously disrupt our activities through instant calls for attention,” (Dr Eiman Kanjo).

Il Dr. Kanjo evidenza il punto maggiormente critico, questo flusso di comunicazione è continuo, interrompe le nostre attività, ci distrae, ci delocalizza. Frammenta la nostra giornata.
Le chat, a qualche anno dalla loro diffusione, generano verso ognuno di noi uno tsunami informativo.
Mese dopo mese abbiamo aggiunto amici e gruppi nelle nostre chat. Abbiamo allargato la nostra cerchia, accettato indistintamente conoscenti, colleghi, cugini di terzo grado e vecchi compagni di scuola. Non facciamo che aggiungere contatti.
Troppi contatti, troppi gruppi, troppi i messaggi da leggere, troppi i messaggi che ci coinvolgono in prima persona.  Troppo brevi, quasi inesistenti, le pause tra un messaggio e l’altro.

Internet ha colmato un vuoto relazionale, creato nuove dinamiche di comunicazione, surrogato di quelle reali. Ha fornito uno spazio libero, senza confini, dove dire la propria senza compromessi ed obblighi.

WhatsApp e Facebook Messenger, in particolare, hanno riproposto dopo decenni dinamiche sociali antiche come la storia dell’uomo, indispensabili, tribali.
Noi spettatori, radioascoltatori, telespettatori, siamo tornati a comunicare, a dire la nostra. A dibattere. A sederci attorno al fuoco assieme ad altri componenti della nostra tribù.
Ma oggi, dopo alcuni anni in cui viviamo questa nuova dimensione, dobbiamo gestire un “pieno emotivo”.

C’è un evidente “progressione-regressione” nelle nostre comunicazioni in chat.

Passo in avanti e all’indietro allo stesso tempo. Siamo tornati al passato ma, allo stesso tempo, siamo progrediti verso una nuova direzione. Siamo liberi di comunicare e tecnologicamente evoluti ma, allo stesso tempo, costretti a farlo velocemente e con estrema attenzione.

Non c’è niente di più primitivo delle nuove tecnologie.
Che si diffondono globalmente quando riescono a soddisfare un nostro bisogno primario, tribale. Come comunicare.
Non c’è niente di più nuovo e imprevedibile delle nuove tecnologie.
In rete siamo multitasking e in overflow. Felicemente o infelicemente sommersi dalle nostre chat.

In questo ridicolo, reale paradosso, c’è tutta l’essenza di Internet.

Mondoduepuntozero