Morire per un selfie

Questo post prende spunto da un articolo di qualche mese fa, pubblicato su Psichology Today, nell’area “blog”, denominato”Death by selfie“, letteralmente “Morire per un selfie“, articolo che, lo premettiamo, ci è piaciuto molto e molto ci ha fatto riflettere.

A dire il vero anche il nostro incontro con l’articolo è di qualche mese fa, a dire proprio il vero ci è servito qualche mese per metabolizzare l’argomento, drammatico, costruire un quadro d’assieme su un fenomeno molto complesso, proporre una nostra opinione in proposito.
Innanzitutto apprezziamo il titolo, suggestivo e coinvolgente, tanto che noi stessi abbiamo deciso di riproporlo in lingua italiana.

L’articolo, pur sintetico (qualità spesso assente nei post di questo blog), è molto avvincente, cita nella prima parte numerosi casi di persone decedute mentre si concentravano nel realizzare il loro “migliore selfie”.
Il campione è molto variegato, diverso per età, provenienza, estrazione sociale, a dimostrazione sia dell’ampiezza del fenomeno sia del fatto che il “making selfie” coinvolge tutti gli internauti.

Il fatto descritto nell’articolo, in brevissima sintesi, è che ci sono persone talmente prese dal fotografarsi che non si accorgono di ciò che succede attorno e, di conseguenza, muoiono.
Nella seconda parte dell’articolo sono citati due tra i più grandi sociologi di tutti i tempi, Emile Durkheim e Erving Goffman, fatto che ci trova d’accordo ma che richiede, secondo noi di Mondo 2.0, un più articolato approfondimento.

Proviamoci, facciamo un passo indietro.
Successivamente alla lettura dell’articolo abbiamo cercato in internet riferimenti di cronaca a casi simili, ne abbiamo trovati numerosissimi, abbiamo di fatto scoperto che il fenomeno è molto più ampio e non riguarda solo i selfie, c è chi muore perché fa un retweet, chi perché usa la chat di WhatsApp, chi perché invia una foto su Facebook, e chissà cos’altro.

Inoltre, siccome internet è un universo prevalentemente multimediale questi gesti scellerati diventano spesso una sorta di testamento on-line, indelebile, un ultimo momento di celebrità mediatica, di presenza sul palcoscenico virtuale globale. Vi assicuriamo che il materiale multimediale da noi rintracciato in rete è veramente sconvolgente, è come se la morte in persona decidesse, prima di portarvi via, di fare una foto o un video e di condividerli in rete.

Non vi forniremo riferimenti rispetto a quanto trovato, come sempre questo sito non punta alla popolarità tramite la diffusione di contenuti “trash“.

Ma perchè un fenomeno così apparentemente assurdo e pericoloso avviene così frequentemente?

La risposta è evidente. Con la diffusione degli smartphone il nostro rapporto con internet è diventato sempre più compulsivo, ci colleghiamo spesso, a prescidere da dove siamo e con chi siamo. Molti di noi inviano costantemente immagini e post attinenti a quanto succede nel mondo reale e, allo stesso tempo, ricevono decine di analoghi inputs.

Passiamo con facilità dal mondo reale al mondo virtuale, poi di nuovo al mondo reale, poi virtuale, poi … .
Scriviamo e postiamo mentre mangiamo, lavoriamo, ascoltiamo, camminiamo e , soprattuttto mentre guidiamo. E riceviamo, riceviamo, riceviamo una quantità notevole di nuovi  stimoli.

Siamo convinti di riuscire a gestire in modo rapido ed efficace l’alternanza tra reale e virtuale ma non è così, il virtuale è velocissimo e coinvolgente: “… ci siamo collegati solo per … ma poi è arrivato un altro simpatico commento e ho dovuto rispondere,…e quel video che divertente!

La trasposizione del nostro Io in rete richiede tempi sempre più lunghi per elaborare inputs sempre più complessi.

È come se il nostro corpo avesse bisogno di dormire 5 secondi ogni 5 minuti, per poi risvegliarsi confidando che nulla nell’ambiente circostante è cambiato.

Al risveglio potremmo, forse, accorgerci che in questi 5 secondi, poi diventati 15, la strada da dritta è divenuta curva, oppure l’auto davanti ha frenato, il corrimano è terminato, il treno è arrivato, il gradino è assente, il semaforo pedonale è diventato rosso, …

A questo punto, in coerenza con l’articolo originale, ma con diverso fine, scomodiamo il grande Emile Durkheim, chiedendo perdono a tutti i sociologi del mondo.

Innanzitutto riteniamo che la trasposizione del proprio Io in rete anche in situazioni reali caratterizzate da un potenziale pericolo, è molto di più di una semplice scelta personale finalizzata ad ottenere consenso,  è, come per il suicidio, fenomeno analizzato da Durkheim oltre cento anni fa, un “fatto sociale” .

In parole semplici una tendenza dovuta ad un vuoto. Il vuoto è concettualizzato da Durkheim con il termine “anomia“, ovvero una condizione in cui i singoli sono privi di norme, di riferimenti certi, di guida morale. Ovviamente non stiamo parlando delle norme stradali, quelle ci sono e sono ben chiare.

Internet si è diffusa molto in fretta, non c’è stato il tempo di darci delle regole, di creare delle sane e consolidate abitudini, ciascuno di noi va in rete quando e come gli pare.
“Ho così tanti amici, chissa cosa mi scrivono, se sapessero, … devo assolutamente inviare quest’immagine, … ha ha ha adesso rispondo con una faccetta, …”

Un doppio palcoscenico, per dirla come Erving Goffman, in cui ci dobbiamo proporre, mettere assolutamente in evidenza, una doppia impegnativa esposizione, reale e virtuale che richiede molte energie.
Molti di noi di fronte a questa continua alternanza tra reale e virtuale perdono il senso della realtà, sottovalutano la possibilità che avvenga un imprevisto, riducono la propria capacità sensoriale.

La paura di non essere coinvolti nelle proprie cerchie personali/amicali, fenomeno già oggetto di analisi nella psicologia moderna detto “FOMO fear of missing out”, ci spinge ad usare WhatsApp o Facebook mentre stiamo guidando, a rispondere ad una Email di lavoro mentre saliamo in metropolitana, ad inviare un’immagine mentre scendiamo frettolosamente delle scale.

Un comportamento psicotico e collettivo molto simile al suicidio analizzato da Durkheim, simile anche in termini statistici e di conseguenze finali, che trae energia dalla nostra voglia di essere sempre protagonisti in rete, di creare il nostro personaggio, come suggerito da Goffman , in quello che oggi è il più grande palcoscenico disponibile per un singolo essere umano.

Un alternanza tra scenario virtuale e scenario reale che richiede un substrato di regole, in grado di arginare l’anomia, il vuoto, conseguente alla recente, frequente e compulsiva trasposizione del proprio Io nel web.
In questo momento, nel nostro pianeta, ci sono centinaia di migliaia di persone che si collegano ad internet in condizioni di potenziale pericolo, in particolare alla guida. È necessario analizzare questi comportamenti, è necessario, sempre più, insegnare ad utilizzare internet.

Bisogna spiegare, non solo alle nuove generazioni, come usare internet ed anche, forse soprattutto, quando usare internet.

Non si può morire per un selfie.

Un ultima nota Emile Durkheim è nato nel lontano 1858 e deceduto nel 1917, Erving Goffman è nato nel 1922 e deceduto nel 1982, nonostante ciò i loro studi sono quanto mail attuali, vicini alle dinamiche sociali che caratterizzano la rete, miracoli che solo la Sociologia può compiere.

 Mondoduepuntozero.

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